Nei giorni scorsi su “Il manifesto” prima Antonio Floridia e poi, in particolare, Guido Liguori, commentando ed intervenendo sul congresso di Rifondazione Comunista, si sono fatti propositori, per le forze antagoniste ed alternative, della linea dell’accordo con il PD e il Centro Sinistra, invocando due stati di necessità.
Il primo è relativo al condizionamento ferreo, alla gabbia insuperabile del sistema elettorale bipolare maggioritario che impedirebbe oggettivamente e senza via di scampo la riuscita del così detto “terzo polo” (che si è cercato – dice lui – di costruire in tutti questi anni con risultati sconfortanti), consigliando quindi a Rifondazione, ed eventualmente ad altri, per non rompersi la testa, la via dell’accordo, chiamato pudicamente ed ambiguamente “contratto”.
Il secondo è che in tempi di paventato ed incombente fascismo la coalizione, l’unità larga anche con le forze di sinistra moderata e centriste – per altro corresponsabili del lungo ciclo neo liberista – è assolutamente doverosa.
Questi temi incrociano la nostra proposta e la nostra iniziativa per l’apertura di un processo costituente di un nuovo soggetto (il movimento per la liberazione?) che abbiamo presentato il 23 novembre scorso ad Ancona con discreto “ritorno” di pubblico e mediatico: e perciò prendiamo parola.
Sul primo punto.
E’ vero che la strada, per le forze di classe, critiche, alternative, da lungo tempo deboli divise inadeguate, è, sul piano strutturale e del contesto socio-culturale e politico, oggettivamente e tremendamente difficile, anche per il cumolo di errori e scelte mancate e/o tardive a loro addebitabili, ma non è che piegarsi obtorto collo e accedere all’accordo, essendo oggi sul piano dei rapporti di forza marginalizzate e sostanzialmente inefficaci, possa risolvere – almeno in parte – la partita (per noi ma soprattutto per gli interessi e gli obbiettivi di coloro che vogliamo rappresentare).
Il presunto rimedio sarebbe peggiore del male.
Oggi come oggi, a specchio di una sottostante difficoltà e scarsità dei movimenti sociali e di una loro autonoma spinta alla unificazione e alla politicizzazione, dopo le europee, siamo realisticamente di gran lunga sotto il 2% e quindi, anche in eventuale alleanza (e in concorrenza, sul medesimo terreno, con la già piazzata e relativamente robusta dentro il cento sinistra alleanza Verdi Sinistra), non raggiungeremo l’agognato obbiettivo della rappresentanza in Parlamento.
La testa quindi rischiamo di rompercela egualmente, anzi peggio, perché probabilmente avremmo dilapidato il poco di credito che possiamo avere sul piano della coerenza e della fermezza programmatica e politica. La proposta di accordo – contratto con i (cor)responsabili dell’attuale situazione (sul piano delle politiche strutturali e sociali, sul piano delle politiche sanitarie, scolastiche…. o no?), da organizzare in un apposito tavolo coalizionale, dunque, da questo punto di vista, risulta sbagliata.
Inoltre e soprattutto, sul piano dei contenuti, è ben difficile pensare ad un accordo positivo ed accettabile su tre punti fondamentali.
Quello della politica estera (armamenti, guerra in Ucraina, superamento seppure progressivo della NATO in un nuovo organismo paneuropeo della sicurezza, riforma radicale dell’Europa ecc) su cui il Centro sinistra a trazione PD non parla e/o fa l’opposto.
Quello della politica economica (rottura dei vincoli europei neoliberisti e austeritari, patrimoniale straordinaria di 450 miliardi e patrimoniale ordinaria per sostenere e finanziare non una mera spruzzata di risorse in più per Sanità e Scuola, sempre sull’orlo delle impedenti regole europee e delle difficoltà nazionali di bilancio, ma un intervento shok, uno straordinario, eccezionale, originale piano di sviluppo e di riforma sociale e ambientale che passa per l’intervento pubblico diretto nell’economia e/o per una vera e propria socializzazione di alcuni ambiti e produzioni strategiche – terra e agricoltura, ambiente e filiere su di esso centrate e dedicate, settori di base e innovativi dell’industria, decisa espansione del welfare) su cui il centro sinistra a trazione PD non parla e/o fa l’opposto.
Quello della politica istituzionale (tra le altre cose ricostruzione della centralità del Parlamento e delle Assemblee elettive, estensione ed approfondimento delle Istituzioni della democrazia diretta e di base, riforma elettorale proporzionale senza sbarramento lesivo della rappresentanza e della Costituzione) su cui il Centro Sinistra a trazione PD ha parecchie colpe da farsi perdonare. L’impossibilità nella fase attuale di far passare contenuti di questo tipo, per l’inadeguatezza della mobilitazione sociale e per i numeri dei rapporti di forza politici, è suffragata – peraltro – da plurime esperienze di alleanze e di Governo avute nel passato e che non sono riuscite e non hanno prodotto i cambiamenti promessi, sperati e necessari.
Col risultato del fallimento e dell’apertura della strada alle destre, in linea generale e, in particolare, dell’umiliazione delle forze più radicali che più si erano esposte ed avevano puntato sul mutamento, pagando un prezzo assai pesante presso i ceti popolari, i lavoratori, i giovani e consegnandosi, da lì in avanti, ad uno stato di crescente minorità (aggravato poi da propri errori e ritardi in termini di cultura politica e di innovazione, e di apertura di una nuova fase per sè medesime e per il Paese). O no? Perché Liguori di questo non parla? Eppure c’è tutta una storia ormai che lo dimostra.
In ogni caso, se la preoccupazione sua e di altri fosse di natura tattica, si potrebbe pensare, per dimostrare senso di responsabilità, ad avanzare autonomamente, sulle linee sopra indicate, una proposta di programma en plein air , in piena luce davanti all’opinione pubblica (non da concordare quindi in tavoli defatiganti dove in genere, e dati i rapporti di forza, oltre a non contare nulla si perdono i fondamentali e si è giocati). Se si accogliessero tutti i punti e l’insieme della proposta, non dovremmo avere alcun imbarazzo a dire di si. Ma – come è evidente – è una pura ipotesi, utile per scaricarci di una responsabilità che altri furbescamente vogliono appiopparci o che taluno – sbagliando – introietta, quando invece la responsabilità è tutta loro.
E quindi, ciò detto, che fare? Ci sarebbe in effetti – lo dico a Liguori e a quanti in buona fede si interrogano al riguardo – un’altra strada – (pur consapevole della difficoltà della sua attuazione in una fase sociale politica mediatica che ci dice contro). La strada non è quella oggi – se le parole hanno un senso – di un improbabile terzo polo costruito su un cartello elettorale, su un aggregato male amalgamato di forze minoritarie (per di più, formalizzato e rappresentato da simboli accostati l’uno sull’altro, comunicanti plasticamente debolezza e assenza di progetto, incapaci di attrarre e coinvolgere).
La strada è quella, per tempo, in anticipo, a tre anni dal voto, della proposta e dell’invenzione del processo costituente di una forma e di una forza nuova, antagonista e riformatrice, radicale e matura, capace di delineare la necessità e il compito della rottura sistemica e della prospettiva del socialismo, emergenti dallo stato barbarico in cui versa il mondo, da attuarsi però nel lungo percorso della ricostruzione egemonica e nella concretezza delle lotte, delle proposte e delle risposte da dare, utili ed indispensabili, per chi vogliamo rappresentare e, al tempo stesso, coerenti con una prospettiva di cambiamento e di liberazione.
Una forza capace di parlare al Paese, di riunire dialetticamente in sè tre caratteristiche, tre qualità fondamentali.
Una forza, in primo luogo, capace di appoggiare e di avvalersi, e contemporaneamente di partecipare a, e promuovere, conflitti e lotte.
Una forza, in secondo luogo, fondata su una nuova cultura politica in grado di aggiornare e approfondire la critica del capitalismo e del patriarcato e di impossessarsi in pieno di tutti gli aspetti, di tutta l’articolazione socio culturale del fronte della liberazione umana (introiettando e valorizzando, per esempio, in termini marxiani, nei termini di un marxismo originale e innovativo, la tematica che è, insieme, economico-strutturale, di alleanza sociale e di riconoscimento di una nuova sensibilità e inclinazione psicologica-culturale, inerente la “individualità,” la “persona individuale”, portata dalle trasformazioni “ambigue” del capitalismo ma che gli può essere opposta, in termini positivi e libertari, nell’economia, nel lavoro, nelle relazioni sociali).
Una forza, in terzo luogo, in grado di costruire l’unità politica e organizzativa fra tutti i diversi antagonisti, alternativi, critici, riformatori conseguenti, sia delle forze politiche che dei movimenti.
Si, unità politica e organizzativa e non cartelli elettorali o federazioni pasticciate, perché se si è d’accordo sulla pace, sull’anticapitalismo, sull’ambientalismo, sulla lotta contro il patriarcato, sui diritti, il superamento delle attuali identità organizzative non è un abbandono, un sacrificio, una perdita ma un superamento dialettico, un comune investimento in avanti.
E perché – analogamente – in una strategia di transizione al socialismo attraverso le grandi modifiche di struttura, può non esserci divisione e differenza, ma relazione organica fra un antagonista e un vero riformatore – non riformista – uniti ed accomunati dal fine e dalla consapevolezza del tempo che ci vuole. Dunque conflitto, innovazione, unità nella costruzione di una forza autonoma e ferma ma al contempo processuale e credibile.
Dunque, nella prossima fase, non un polo che fotografa di fatto la messa insieme di forze deboli e che, nel nome, tradisce l’irrealistica pretesa di alludere – nell’immediato – ad una alternativa praticabile, assolutamente impossibile rispetto agli altri due poli ma invece – dicendola al modo di Lenin “meno, ma meglio” – la costruzione onesta dell’innesco di un processo costituente di un soggetto unificato, certamente, ora, piccolo ma determinato, che ambisce, nel tempo, a suscitare la novità, il cambiamento, la speranza del Paese. Perché mai, se si operasse bene e subito in tale direzione con una iniziativa seria e larga, con un appello al Paese e a quanti non si sentono rappresentati e si percepiscono oppressi ed umiliati da questo sistema sociale e da questa politica malata, il 3% dovrebbe essere irraggiungibile? (l’esperienza, fra l’altro, di Pace terra e dignità con il 2,2 %, in autonomia dal PD e da altre forze, con il concorso che poteva esserci da parte di Potere al Popolo e di altri, ci dice che si poteva e si può provare a ballare su quella percentuale). E se non ci si riuscisse – come è possibile e forse probabile – il lavoro intrapreso può in ogni caso fruttificare in futuro, a fronte della incapacità del centro sinistra di rappresentare una alternativa vittoriosa o, in caso di vittoria, di dimostrare nel Governo (come è successo in passato) la propria inadeguatezza e/o il tradimento delle promesse di svolta.
Sul secondo punto: il fascismo alle porte
I rischi portati dalle destre all’offensiva non vanno affatto sottovalutati. E quindi anche con le forze di centro sinistra comuni lotte di piazza, per esempio, contro i decreti sicurezza, per difendere l’autonomia della magistratura ecc ecc, campagne comuni e comuni impegni sui referendum prossimi, in difesa della Costituzione ecc ecc .
Si può aggiungere che nel caso i nostri eventuali voti nel Parlamento fossero necessari per far partire l’eventuale Governo di centro sinistra, in autonomia, potremmo concederli senza coinvolgimento politico o nell’esecutivo, ma strappando, al limite, una o due grosse questioni programmatiche (anche se sappiamo e siamo quasi certi che, in base all’esperienza, se servono voti per far quadrare programmi moderati e compatibilisti e non andare alle elezioni anticipate “i responsabili” si trovano sempre pescando nel ventre molle del centro destra).
Epperò, nel fronteggiare le destre serve chiarezza e lucidità analitica, evitando di cadere nella trappola della retorica drammatizzante del “nemico alle porte” e del richiamo della foresta, funzionale solo a portare acqua al mulino della concentrazione di voti sul PD e alla eliminazione delle “vere” alternative antifasciste, quelle basate sui contenuti reali (evitando di cadere cioè nella retorica del “no pasaran”, la quale, una volta passato lo scontro elettorale, si scioglie in tensioni puramente dialettiche, in confronti e scambi polemici ma rispettosi in Parlamento, nei talk show, alle feste di partito.
Non è quello che succede? Non vi pare che la cosa sia forzata e strumentale?). Serve analisi storica innanzitutto. Il fascismo – almeno quello storico da cui appunto proviene il nome – ereditato dalla e coltivato nella violenza senza pari delle trincee della prima guerra mondiale, fu – definizione classica della terza internazionale comunista – la forma “di dittatura aperta e terroristica degli elementi più sciovinisti e reazionari del capitale finanziario”, eliminò ogni e qualsiasi libertà di pensiero, riunione, associazione, stampa e imprigionò ed eliminò fisicamente centinaia e migliaia di oppositori. E’ questa la situazione? Mi pare di no.
Quindi attenti al fatto che qualcuno provi a caricare, a forzare, a falsare l’analisi, attenti a bere una interpretazione funzionale agli interessi di cui sopra. Certo siamo in presenza di processi autoritari che da tempo covano nella crisi del capitalismo e della democrazia, di processi di seria restrizione sociale e politica che però coinvolgono scelte anche del centro sinistra (per esempio perché non dire che il maggioritario voluto da tutti è un sistema di rappresentanza antidemocratico e liberticida che ha concorso a produrre la regressione in atto?).
Quindi, a proposito di destre e di fascismo, ho la sensazione che occorra separare il grano dal loglio. Il grano è – in primo luogo – la comune opposizione ad un pericolo di destra da esercitare nelle piazze e sui contenuti reali che la possono erodere ed isolare. Il grano, in secondo luogo, è anche il voto a noi, alle forze più conseguenti e radicali: è anche esso, sempre, un voto contro le destre, contro il fascismo, che potrebbe anche divenire – come si dice – “utile”, se riuscissimo a chiarire e ad informare correttamente una opinione pubblica confusa, facendo un discorso veritiero.
Un discorso veritiero contro la falsa utilità di chi (PD e Centro Sinistra) promette la speranza e/o la garanzia che si possa fermare “il fascismo” e risolvere i nodi della crisi. Un discorso veritiero sul senso, sulla qualità e sulla prospettiva della utilità (utilità di chi? Utilità per cosa?). Ecco, tutto ciò detto, chiudiamo. Il tempo è galantuomo e ci dirà se la nostra analisi è giusta e abbiamo visto bene: e cioè il fatto che il Centro Sinistra (con la Sinistra al suo interno) fallirà nella concreta opposizione alla destra e nell’eventuale ulteriore prova di Governo.
Noi però non siamo solo semplici analisti o osservatori. Nel frattempo per preparare il futuro, occorre avviare, attrezzare il soggetto costituente con i conflitti, con il rinnovamento della cultura politica, con la messa a punto di un alternativo e insieme credibile progetto programmatico, con l’unità di tutti coloro che, nella politica e nei movimenti, condividono una piattaforma strategica, superando divisioni, gelosie, sopravvivenze e incrostazioni autoreferenziali.
Se non lo facciamo, non ci sarà perdonato e saremmo anche noi (anche noi anticapitalisti, anche noi a cui questo mondo non va bene, anche noi “nel giusto” dell’umanità e della storia), come diceva Gramsci, un elemento non effettivamente costruttivo e creativo ma un elemento della dissoluzione generale. Facciamolo.