Considerazioni sul DDL Sicurezza

Il più grande attacco alla libertà di protesta della storia repubblicana.  

Così l’Associazione Antigone ha definito il DdL Sicurezza 1660 a firma dei ministri Nordio, Piantedosi e Crosetto, i cui tempi di approvazione sono previsti entro il mese di marzo.

La questione sicurezza, declinata esclusivamente in termini di ordine pubblico e repressione, è oggetto da almeno 25 anni di una bulimia legislativa che attraverso una lunga serie di provvedimenti ha moltiplicato reati, pene e circostanze aggravanti.

Il panpenalismo, la deriva autoritaria, l’ipertrofia carceraria non nascono oggi: si collocano sulla scia di leggi incostituzionali ed emergenzialiste già a partire dagli anni 70, come quelle finalizzate a combattere il terrorismo. Ma è con l’introduzione del sistema maggioritario che avviene il cambio di passo generatore della progressiva espulsione delle lotte sociali e della vertenzialità dalla democrazia conflittuale e dal parlamento.

Si pensi alla feroce repressione dei fatti di Genova nel 2001, al decreto Maroni del 2009 che istituiva le ronde e vietava il passaggio delle manifestazioni nei centri delle città e vicino ai centri di potere, al decreto Renzi-Lupi del 2014 contro le occupazioni abitative, ai decreti sicurezza Minniti-Orlando, Conte-Salvini, Lamorgese e le recenti leggi Anti Rave, Cutro e Caivano.

Oggi siamo di fronte a un salto di paradigma, dove la crescita imponente della sfera repressiva e dell’architettura di sorveglianza diventa tecnica e forma di governo, in un quadro di saldatura tra politica, media, apparati di polizia e militari.

Ed è esattamente ciò che si determina sempre nelle situazioni di guerra, quale quella in cui oggettivamente siamo, contrassegnata da pensiero unico, informazione embedded, disciplinamento sociale.

Questo DdL è un manifesto ideologico a dimensione globale, classista, frutto di un regime di guerra non simbolico ma reale, certificato dal ruolo attivo dell’Italia nel teatro di guerra inter-imperialista tra Russia e Nato e nel genocidio e nell’espansione del colonialismo sionista di insediamento in Palestina, con i suoi risvolti di marginalizzazione della società e di individuazione dell’opposizione sociale come nemico interno.

Lo Stato e le istituzioni della globalizzazione, partecipando direttamente ai processi di valorizzazione e di accumulazione capitalistica, hanno necessità, in un contesto di economia di guerra e di corsa al riarmo, di comprimere ulteriormente ciò che rimane del welfare e dirottare le risorse in senso warfarista, alimentando propaganda bellica e retorica sulla sicurezza nazionale.  Nella conseguenza di dover gestire nuove strette sociali e l’acuirsi del processo di crisi, alla guerra esterna corrisponde la necessità di imporre una pace sociale interna, con la normalizzazione dell’emergenza e la riduzione degli spazi di democrazia, attraverso politiche securitarie e repressive, perché quando si è in guerra diritti e libertà semplicemente non esistono.  Se fino ad oggi i limiti all’esercizio delle libertà (di manifestazione, di sciopero, di comunicazione, di pensiero, di movimento, ecc.) venivano giustificati da situazioni di emergenza, ora tali incisioni e violazioni di principi e diritti costituzionali entrano nel codice penale come norma e non più come eccezione, individuando un preciso target di identità cosiddette devianti.

Non si tratta solo di norme draconiane, ma di un impianto autoritario della governabilità medesima.

Il diritto penale non è più centrato sul reato ma sull’autore: i nemici sono il dissenso e il disagio, chi protesta, anche in maniera passiva, e chi è marginale, i lavoratori e i giovani in lotta, i poveri e gli immigrati. Il conflitto sociale e l’orizzonte della trasformazione devono essere sterilizzati e banditi e quindi si archiviano le politiche sociali e si espelle la contestazione politica.

Al contempo la rappresentazione del populismo penale di uno stato fondato sull’autorità e sull’obbedienza trova il suo caposaldo nella legittimazione del diritto penale dell’amico. Il DDL è infarcito di privilegi e impunità per le forze dell’ordine: licenze d’armi, tutele rafforzate, aggravanti per atti di resistenza, copertura di spese legali, e ora anche il tentativo di aggiungere lo scudo penale (rilanciato a seguito delle manifestazioni a seguito della recente uccisione di Ramy a Milano, giù derubricato alla peggio a omicidio stradale) ed estendere le zone rosse: sono tutti provvedimenti che scardinano il principio di uguaglianza dei cittadini attraverso una legislazione speciale per chi rappresenta l’autorità.

I Servizi Segreti avranno libertà di manovra e alle Università e agli Enti di ricerca verranno imposti obbligo di collaborare con essi e deroghe alla riservatezza.  

Insomma un autentico manuale della repressione e del controllo in cui non poteva mancare uno dei cavalli di battaglia della narrazione populista, cioè l’ulteriore tappa del processo di razzializzazione della popolazione immigrata secondo misure derivanti dalla collaudata tecnica della crimmigration, fondata sulla sovrapposizione fra  diritto penale e diritto dell’immigrazione, attraverso l’inasprimento delle leggi e l’annientamento dei diritti fondamentali dello straniero, ovviamente quello povero.

È del tutto evidente che questo Ddl non sia in alcun modo emendabile ma da rigettare nella sua totalità e da bloccare: non saranno certo le opposizioni parlamentari a fermarlo, organicamente interne alla fascinazione del populismo penalista e alle istanze di guerra di UE e Nato né gli appelli al Presidente Mattarella, Vice presidente nel Governo D’Alema che bombardò la Serbia nel 1999, e che ha sempre fornito la sua benedizione istituzionale a tutte le porcherie reazionarie di questi anni. Addirittura le sei indicazioni di Mattarella – se assunte anche solo in parte dal governo – rischiano di creare una perversa spirale emendativa: non si scalfisce nemmeno un po’ il disegno sotteso al DDL, ma si renderà ancora più morbida, più vuota l’eventuale opposizione parlamentare di centro-sinistra, creando ulteriore confusione tra ampi strati di popolazione che non hanno ancora capito l’importanza strategica di questo DDL.

Solo il rilancio delle lotte proletarie, sociali, ecologiste e contro le guerre in corso, solo un rinnovato movimento unitario che alimenti conflittualità dal basso, nei luoghi di lavoro, di studio e nelle piazze, potrà impedire l’approvazione del decreto sicurezza: se questo sarà approvato, bisognerà contrastarne l’applicazione e arginare la repressione padronale e di stato praticando il diritto di resistenza.